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Ritrovare le radici passando per Siviglia

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Giovanna dopo aver vissuto 6 anni a Siviglia, decide di ritornare nella sua Venezia spinta da un profondo senso di appartenenza e responsabilità verso la città natale. L’ Andalucia rappresenta per lei la fonte di luce che le ha permesso di ritrovare le sue radici.

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Giovanna, perché sei partita? Cosa cercavi?

 

Sei anni fa dopo la laurea in Architettura, cercavo un Master ma cercavo soprattutto un’esperienza di vita all’estero e la destinazione era l’unica cosa certa di questa ricerca: Siviglia.
Capitale dell’Andalusia, situata nella parte sud occidentale della Spagna, Siviglia è caratterizzata da un clima caldo secco, un toccasana per il mio esile scheletro, vessato da anni di umidità accumulata in un vita tra le calli veneziane. Questo aspetto però rappresentava solo una delle tante motivazioni che mi attiravano in quell’angolo d’ Europa.
Era soprattutto l’architettura della città a farmi fantasticare, con immagini di palazzi da Mille e una notte, il più classico degli stereotipi romantici sull’Oriente. Di fatto il dominio arabo a Siviglia durò 5 secoli; ne sarà pure rimasto qualche segno evidente! Il mio sogno, quasi esotico, sembrava più che legittimo.
Infine tra le motivazioni vi era anche una breve conoscenza del ballo flamenco, praticato qualche anno prima per breve tempo ma che mi diede il primo impulso a documentarmi su Siviglia, luogo simbolo per questa danza.
Mi sembrava la città giusta!
Adoravo Venezia ma mi sentivo piuttosto delusa e demotivata sotto vari punti di vista; decisi quindi di partire.

 

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Che cosa hai trovato?

 

Ho trovato una città luminosissima e colorata!
Non mi sbagliavo sull’architettura ma c’era di più: l’incontro tra il mondo cristiano e quello arabo ha generato lì lo stile mudejar, tipico di tutta l’Andalusia.
Un tripudio di linee morbide e sinuose, tipiche delle decorazioni moresche, intervallate dalla severità degli elementi gotici. Per me era tutto una meraviglia!
Nonostante provenissi da una città altrettanto spettacolare, riuscivo comunque a stupirmi ad ogni angolo. A dire il vero trovai anche molto di Venezia in quelle viuzze strette e tortuose del Barrio Santa Cruz. Si chiamano calles, per l’appunto come le calli veneziane.
La gente è molto accogliente, abituata a vivere la strada e lo spazio aperto.
Da subito ho sentito che lì avrei potuto vivere bene. La luce così penetrante si faceva ancor più forte riflettendosi sui muri bianchi dei palazzi andalusi; quella luce inondava anche me.
Vi rimasi per 6 anni studiando inizialmente e lavorando poi.

 

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Dove hai vissuto?

 

Durante l’anno di Master e quello seguente vissi in appartamento ricavato all’interno di una tipica casa andalusa, situata nei pressi del Barrio Santa Cruz, in pieno centro storico. Un edificio a tre piani con patio interno, costruito al di sopra di un bagno arabo del XII secolo, oggi trasformato in un elegante ristorante.
Avevo casualmente azzeccato la casa giusta per me! Anche se un po’ malconcio, l’appartamento aveva una vaga aura decadente che mi attraeva. La terrazza si vedeva il cielo. Un azzurro rinfrancante.
In seguito mi trasferii a Triana, un quartiere al di là del fiume Guadalquivir, ricco di botteghe artigiane e legato alle attività del traffico fluviale. Qui, in questo divertentissimo quartiere, vissi in un appartamento più moderno.

 

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Qualcosa però ti ha fatto ritornare a Venezia. Cosa?

 

A Siviglia lavoravo in uno studio di architetti, dove imparai moltissimo. Mi piaceva il mio lavoro e la città continuava ad esercitare il suo fascino ma ad un certo punto, in maniera lucida e consapevole, capii che era arrivato il momento di ritornare.
In quella grande forza identitaria che Siviglia possedeva, percepivo tutta la debolezza della mia Venezia. Sentivo di dover ritornare per dare il mio piccolo contributo contro lo spopolamento della mia città natale.
Ero costantemente informata sul crescente snaturarsi di Venezia: si stavano via via perdendo i valori identitari e le competenze artigiane della laguna. La mia presenza non avrebbe fatto certo la differenza ma magari, riprendendo l’attività di mio padre, sarebbe potuto diventare un piccolo segnale positivo per il Sestrier de Dorsoduro. Tornai e mi misi a lavorare appunto presso il laboratorio di maschere artigianali di famiglia. Ecco spiegato la mia passione per le decorazioni che forse cercavo anche nell’architettura sivigliana.

 

Dove hai percepito di più il Genius Loci?

 

In entrambe le città si percepisce in maniera profonda ma le mie radici sono veneziane e, seppur indebolito, il Genius Loci che più mi appartiene, risiede qui.

 

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Autore - Simone Gastaldello

È un architetto italiano. Attivo a livello internazionale, guida con i suoi partner lo Studio Ennedue con cui svolge attività di progettazione e ricerca in ambito architettonico, urbanistico, del paesaggio e nel settore dell’ interior design. Appassionato del dettaglio ha sempre saputo far convivere la capacità di vedere e immaginare nuovi orizzonti di bellezza, di prospettiva, di spazio con la concretezza di declinare tutto questo dentro le esigenze delle persone e dell’armonia

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