Angela, fixer a Parigi
Angela è una giornalista italiana che vive a Parigi da 6 anni. Ma la sua non è stata una scelta facile. Cercava il Genius Loci e l’ha trovato nella capitale transalpina.
Angela, ci racconti di te?
Sono una giornalista freelance che abita a Parigi dal 2010. Ho deciso di trasferirmi lì per un articolo che ho letto nel quotidiano Il Foglio proprio quell’anno. La storia di un ragazzo italiano che faceva il fixer a Parigi.
Fixer?
Il fixer è un una persona assunta dal giornalista come aiuto sul campo per quanto riguarda la logistica, i contatti e l’interpretariato. Spesso insomma un giornalista che conosce bene a lingua del paese dove va a vivere. Di solito, oltre alla sua pratica giornalistica, lavora anche a chiamata per grandi testate giornalistiche o network dell’informazione. Senza i fixer sarebbe difficile parlare d’esteri!
Mi fai un esempio?
Recentemente a Calais si è deciso di smantellare il campo profughi. La Rai mi ha chiamata per andare lì con la troupe romana e fare, appunto, da fixer. Ho tradotto, trovato il fotografo, gestito le relazioni con la stampa del luogo.
Parlavi della storia del fixer letta sul Foglio.
Si. Un giornalista che si era spostato subito dopo lo scoppio della crisi nel 2008. Le immagini dei broker della Lehman Brothers che escono dal palazzo a Wall Street con la scatola piena delle loro cose gli ha fatto decidere di smettere di aspettare, di inseguire il proprio sogno, quello di vivere in Francia facendo il giornalista. Io mi sono immedesimata perfettamente nella sua storia.
Cosa ti dà Parigi che non trovi altrove?
Mio padre è sempre stato affascinato da Asterix. A casa avevamo tutta la collezione dei fumetti e io li ho divorati da piccola. Il suo amore per la Francia e la cultura transalpina mi hanno contagiato al punto che ho deciso di scegliere Parigi come meta del mio periodo universitario di Erasmus. Un giorno sugli scalini di Montmartre, quelli ripidi che portano alla basilica del Sacre Coeur, ho letto una scritta sul muro.
Cosa c’era scritto?
Era in inglese. Think if IMPOSSIBLE would become I’M POSSIBLE. L’ho fatta mia e me la porto ancora dentro. C’è qualcosa di Parigi che non so descrivere ma che mi fa stare bene. Forse è la densità di popolazione. Quando mangi ai bistrot, ad esempio, i tavolini sono talmente stretti che va a finire che conosci sempre il tuo vicino e anche se ci vai da sola ti fermi a chiacchierare con qualcuno. Per me questo è lo spirito del luogo, ed è uno spirito buono.
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