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La Capreria di Enrico Grandis e il valore del territorio

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Quando il luogo di lavoro è il luogo di vita, la sfera personale e professionale si intersecano e si condizionano. La storia della Capreria di Montegalda.

 

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Negli anni Settanta due giovani universitari inesperti di cose di campagna sognano una vita a contatto con la natura, ignari che quella natura diventerà in futuro fonte di ispirazione e la loro fonte di sostentamento. La storia della “Capreria” di Montegalda, Vicenza.

 

Enrico, che cosa ti ha portato ad un certo punto a intraprendere la vita rurale?

 

Qualche anno fa mio padre acquistò una casa, forse perché lui stesso nutriva il sogno di ritornare prima o poi alla campagna. Quando io e Laura ci siamo trasferiti qui erano gli anni ’70, anni in cui si parlava del ritorno alla terra come stile di vita. Ci piaceva l’idea di poter vivere in uno spazio aperto a contatto con la natura. Io ero nato al quarto piano di un palazzo di Padova e anche Laura era nata e cresciuta nella città di Verona e per questo il mondo rurale non era un patrimonio che ci apparteneva, ma allo stesso tempo era un’esperienza che ci attirava. Non avevamo alcuna competenza in ambito agricolo, infatti inizialmente non avevamo considerato l’ipotesi che il terreno a nostra disposizione potesse diventare una risorsa lavorativa.

 

Come avete iniziato la vostra attività?

 

Negli anni dell’università si viveva in questa casa in maniera saltuaria, finché nel 1979, con la nascita del primo figlio, capimmo che era meglio smettere di fare gli studenti e a partire dagli anni Ottanta sono iniziati i primi esperimenti agricoli.

 

Dapprima con orticolture in pieno campo qui davanti casa. I risultati, tutto sommato, non erano soddisfacenti ma era difficile vendere. Dovevamo imparare a fare tutto: lavorare i campi, vendere, capire quale tipo di prodotto interessava al mercato. Non eravamo ancora attrezzati per cui i problemi da risolvere erano parecchi. Ci si interrogava su come conciliare il reddito con il rispetto dell’ambiente inventando un lavoro che non ci allontanasse dalla nostra casa e dai nostri figli.

 

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Allevare vacche non si poteva perché qui esisteva già il problema delle eccedenze di latte. Bovini da carne nemmeno visto che la tenuta era piccola per cui non aveva senso una dimensione aziendale per questo tipo di economia.

 

Frequentando le fiere di settore a quel tempo si sentiva parlare di allevamento di capre, lombrichi, rane e lumache. Tra tutti a noi sembrava più credibile l’allevamento di capre e in questo modo, un po’ per caso, siamo partiti.

 

Nel 1982 avevamo già un gruppo consistente di capi grazie ai quali era possibile iniziare con le prime prove di caseificazione e le prime consegne. Ancora però non eravamo adeguatamente attrezzati. Con la nostra poca conoscenza producevamo soltanto formaggio con latte crudo.

 

Ma con il tempo il lavoro diventò sempre più sistematico; avevamo importato capre dalla Francia e dal Piemonte e ora riuscivamo anche a riprodurre gli animali che avevamo. Le vendite si estesero così tra le province di Padova e Vicenza.

 

Finalmente tra il 1987 e ’88 un bando della Comunità Europea per sovvenzioni all’agricoltura ci permise di entrare in graduatoria con un buon punteggio. Guadagnammo una serie di contributi con i quali abbiamo ristrutturato casa, costruito una stalla vera e propria, introdotto l’impianto di mungitura iniziando quindi con il primo caseificio.

 

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Nasceva così la vostra attività: “La Capreria”?

 

Inizialmente il mercato era poco ricettivo, la capra era considerata forse un po’ “esotica”, strana, fuori luogo, forse legata alla povertà del passato. Lo slancio importante fu l’ingresso nel mercato del biologico nel 1989. Ricevendo le prime certificazioni avevamo la possibilità di diffondere i nostri prodotti nei negozi specializzati presenti in qualche città, trovandoci così a non a non avere più problemi di vendite.

 

Gli anni Novanta furono dieci anni di tentativi. Non esistevano corsi di formazione sulla caseificazione tanto meno su quella del latte di capra. Qualunque passo significava anni di prove ed errori che piano piano andavano a sedimentare un’esperienza.

 

Ora le nostre capre sono più di 200, i formaggi apprezzati in Italia e premiati in concorsi internazionali e con l’ingresso in azienda di nostra figlia Arianna stiamo sperimentando nuove strade di rapporto con i clienti e di presentazione del prodotto.

 

Tornando indietro, come è iniziato il vostro avvicinamento alla terra?

 

Cominciammo con un orto per il consumo personale e i primi fiori. Osservavamo la terra, le stagioni, il tempo atmosferico, tutte abitudini che non si hanno in città. Ciò che è stato più formativo per me fu l’incontro con i vicini di casa che vivevano la campagna, il cui lavoro agricolo era quotidianità, tradizione, vita vissuta, consuetudini, grandi abilità e tutto ciò è diventato poi il nostro patrimonio di esperienza. Con questi confronti si riusciva a farsi un’idea, rielaborando quello che loro ti comunicavano e filtrarlo con qualche conoscenza che avevamo.

 

Com’è il vostro stile di vita?

 

In continua evoluzione. Si lega alle fasi di crescita personale e professionale, tanto più che il luogo di lavoro e il luogo in cui viviamo coincidono. Qualsiasi nuova esperienza porta a rivedere il nostro stile di vita, dove personale e professionale inevitabilmente si intersecano e si condizionano: la nascita dell’attività, la sua crescita, la nascita dei figli, contatti di lavoro sempre nuovi. Tutto questo ti porta a vivere il luogo con modalità e tempistiche sempre diverse. Negli ultimi anni abbiamo iniziato anche a fare vendita diretta e questo è un ulteriore cambiamento perché per esempio mi porta per alcuni giorni della settimana fuori dal mio ambiente, per recarmi ai mercati di Padova, Vicenza, Venezia, Arzignano (Vicenza).

 

Percepisci il Genius Loci?

 

Certamente, quando io e mia moglie ci trasferimmo in campagna ci fu una prima fase di osservazione e sperimentazione del luogo e di tutti i fenomeni ad esso connessi. Il luogo sembra quasi ci abbia ispirato o suggerito l’attività idonea.

 

E’ stato un processo normale per noi identificarsi con l’ambiente in cui si vive e si lavora, specie con un lavoro legato alla terra dove ci si costruisce un’esperienza basata sulla stagionalità, sul tempo, sui cicli della natura, su quello che c’è di assolutamente naturale attorno a te. Gli animali inoltre, sono un ulteriore tramite verso il naturale ciclo della vita e della morte.

 

Credo che anche la nostra filosofia di azienda vada in questa direzione. Facciamo largo uso di fonti rinnovabili e le capre vivono nella loro stalla con libero accesso ai pascoli. L’alimentazione degli animali esclude gli insilati di mais ma utilizza come alimento principale i fieni di prato stabile e dei prati spontanei dei colli di Montegalda.

 

Tutto ciò crea un legame fisico naturale con il luogo in cui si vive.

 

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Autore - Simone Gastaldello

È un architetto italiano. Attivo a livello internazionale, guida con i suoi partner lo Studio Ennedue con cui svolge attività di progettazione e ricerca in ambito architettonico, urbanistico, del paesaggio e nel settore dell’ interior design. Appassionato del dettaglio ha sempre saputo far convivere la capacità di vedere e immaginare nuovi orizzonti di bellezza, di prospettiva, di spazio con la concretezza di declinare tutto questo dentro le esigenze delle persone e dell’armonia

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